di Giuliano Coan*

La legge n.122/2010 di conversione, con modificazioni, del decreto legge 31 maggio 2010 n.78 entrata in vigore il 31.07.2010, stabilisce che le donne del pubblico impiego iscritte all’Inpdap dal 1/1/2012 matureranno la pensione di vecchiaia a 65 anni come gli uomini, cancellando, di fatto, la normativa previgente che prevedeva il raggiungimento graduale, al ritmo di 1 anno anagrafico ogni 2 di servizio, del traguardo dei 65 anni dal 2018.

Così nel 2010 e fino al 2011 occorreranno 61 anni mentre dal 1° gennaio del 2012 ci vogliono 65 anni. Uno scalone unico di 4 anni!

Le lavoratrici che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2009 i requisiti d’età e d’anzianità contributiva previsti dalla normativa previgente (60 anni) e quante entro il 31/12/2011 maturano i requisiti previsti per il 2011 (61 anni) e anzianità contributiva di almeno 20 anni, 15 per chi era in servizio al 31/12/92, conservano il diritto acquisito e possono andare in pensione negli anni successivi. Hanno facoltà di richiedere all’ente di appartenenza la certificazione di tale diritto. Semplificando, nei prossimi anni potranno accedere alla pensione di vecchiaia coloro che sono nate entro il 31/12/1950.

Poiché le donne iscritte all’Inps mantengono il limite d’età a 60 anni per ottenere a domanda la pensione di vecchiaia, il legislatore ha impedito, con effetto immediato, al pubblico impiego di trasferire la posizione assicurativa dall’INPDAP all’INPS nei casi in cui tale manovra si riveli più favorevole per conseguire il pensionamento.

Finora le donne del pubblico impiego potevano superare la norma discriminatoria dei 65 anni trasferendo la posizione assicurativa all’INPS e accontentandosi di una pensione nettamente inferiore rispetto a quella dello stato.

Esisteva la possibilità di trasferire gratuitamente al regime Inps la contribuzione versata presso l’Inpdap qualora decidessero di lasciare il servizio senza aver maturato i requisiti minimi di età e di contribuzione previsti per la pensione pubblica.

In questo modo, si dimettevano dall’impiego pubblico prima di raggiungere l’età pensionabile e, a seguito del relativo trasferimento della contribuzione Inpdap all’Inps, potevano chiedere la pensione di vecchiaia a quest’ultimo Ente, nel quale l’età pensionabile è, per le donne, rimasta inalterata

Il passaggio dall’INPDAP all’INPS era possibile:

  1. Per chi aveva anche una posizione all’INPS di almeno una settimana, applicando l’art. 1 della legge 29/79 (ricongiunzione non onerosa)
  2. Per chi non aveva alcuna posizione all’INPS applicando la legge 322/58 (trasferimento della posizione assicurativa non oneroso)

Con le modifiche introdotte:

  • l’evento a) diventa oneroso dal 1/7/2010
  • l’evento b) con l’abrogazione della legge 322/58 diviene inattuabile dal 31 luglio 2010.

Con l’abrogazione della legge 322/58, i pubblici dipendenti non possono lasciare il servizio prima di aver maturato i requisiti per la pensione e non possono aspettare la pensione di vecchiaia, come invece si può fare tranquillamente nel settore privato. Tutte le casse pensioni gestite dall’Inpdap non prevedono la pensione differita.

In pratica non può essere più effettuata la costituzione d’ufficio della posizione assicurativa presso l’Inps per gli iscritti alla CTPS (Cassa Stato) cessati dal 31.07.2010 e per gli iscritti alla Casse pensioni gestite dagli ex istituti di previdenza che non abbiano prodotto la prescritta domanda entro il 30.07.2010.

Sono obbligati in questo caso a versare la contribuzione volontaria, che è piuttosto onerosa, fino alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia.

Non potranno neppure, come fatto finora, andare in pensione con l’INPS per evitare il pagamento di una ricongiunzione all’INPDAP magari troppo gravosa. Non si potranno più risolvere in modo favorevole tantissime situazioni che con la previgente normativa si potevano risolvere senza esborsi a volte molto consistenti.

L’onerosità della legge 29 è stata retrodatata al 1/7/2010 prima dell’entrata in vigore della legge, per impedire fughe in massa. Restano confermate le previgenti disposizioni per le domande presentate antecedentemente a tale data.

Riassumendo per il personale della scuola

  1. Le donne dal 1/1/2012 maturano la pensione di vecchiaia a 65 anni come gli uomini.Quante entro il 31/12/2011 maturano i requisiti previsti per il 2011 (61 anni e anzianità di almeno 20 anni, 15 per chi era in servizio al 31/12/92,) mantengono il diritto acquisito e possono andare in pensione negli anni successivi.
  2. La ricongiunzione della posizione assicurativa dall’INPDAP all’INPS diviene onerosa, il trasferimento della posizione è ineseguibile perché la legge 322/58 è stata abrogata.
  3. Rimane invariata la normativa che prevede l’uscita al 1^ settembre se si maturano i requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre dello stesso anno.
  4. I requisiti di età previsti dall’attuale normativa dal 2015 aumenteranno con cadenza triennale, in funzione dei cambiamenti nelle prospettive di vita calcolati dall’ISTAT. Si prevede un aumento di tre mesi anagrafici dal 1/1/2015 e un ricalcolo dal 1/1/2019, per poi proseguire con aggiornamenti triennali.
  5. Dal 2011 scatta la quota “96”: i dipendenti che hanno maturato i 35 anni di contributi potranno andare in pensione rispettando il meccanismo delle cosiddette quote introdotte dalla Legge 247/2007 che prevede la combinazione con i 61 anni di età o 36 di contributi e 60 anni età.
  6. la legge 243/2004 consente solo alle donne fino al 2015, di andare in pensione con 35 anni di contributi e 57 d’età, optando obbligatoriamente per il calcolo contributivo. L’assegno sarà di almeno il 30% inferiore rispetto a quello che potrebbero percepire più tardi con la pensione di vecchiaia.
  7. Con 40 anni d’anzianità contributiva, indipendentemente dall’età si raggiunge il requisito per il pensionamento.
  8. Dal 2011 saranno corrisposti come liquidazione: la buonuscita per l’anzianità maturata al 31/12/2010 e il TFR maturato dal 1/1/2011 alla cessazione.

Si evince quindi, che i dipendenti più penalizzati, sono le donne, che vedono ribaltare le loro possibilità di pensionamento, dall’eccesso dei 15 anni sufficienti un tempo per maturare il diritto alla pensione, agli attuali onerosi requisiti. E penalizzati sono soprattutto coloro che possono vantare cospicui periodi di servizio con versamento dei contributi in casse diverse dall’Inpdap (ad esempio è il caso del personale precario, Amministrativo Tecnico Ausiliario della scuola) e i lavoratori colpiti dagli effetti derivanti dalla soppressione della legge 322/58.

*esperto previdenzialista, docente e consulente Anp