Si è svolta presso il Ministero la prevista riunione per l’esame del Decreto attuativo del comma 605 della legge finanziaria, relativo agli orari di insegnamento degli Istituti Professionali. Dopo oltre due mesi di confronto sull’ipotesi di un’adozione generalizzata dei piani orario del Progetto 2002, la relativa richiesta di parere al CNPI e la risposta di quest’ultimo, è stata scelta – si direbbe negli ultimi giorni – una linea del tutto nuova. Tanto nuova che sembra vecchia …

In sintesi:

  • gli istituti professionali che funzionavano con i piani orari ex Progetto 92 continueranno a mantenerli, solo ridotti a 36 ore anziché 40. Le 36 ore sono in pratica quelle risultanti dalla somma dell’area comune e di quella di indirizzo (su tale base sono assegnati gli organici). A farne le spese è per ora l’area di approfondimento, per la quale le scuole dovranno autonomamente individuare le soluzioni più idonee ricorrendo alla flessibilità interna del 20%;
  • gli istituti (circa un centinaio) che avevano a suo tempo adottato i piani orario ex Progetto 2002 li mantengono;
  • sono fatte salve le strutture di cattedra, le compresenze e la titolarità di sede-scuola, anche in presenza di calo di ore dovuto al passaggio a 36 ore di lezione.

In pratica, non vi sarà un significativo cambiamento nel carico orario degli studenti, né apprezzabili risparmi di sistema. La ragione del ripensamento va ricercata nella recente approvazione della legge 40 (conversione del “decreto Bersani”), che prevede un più generale riordino dell’istruzione tecnica e professionale. Si è preferito non intervenire sugli ordinamenti in una fase transitoria come quella attuale.

Al riguardo, l’Anp – pur prendendo atto delle ragioni enunciate ed apprezzando le assicurazioni fornite in materia di organici – ha fatto presente le proprie perplessità sui seguenti punti:

  • l’esperienza insegna che rinviare le riforme quando si avrebbe la possibilità di farle, in attesa di una “grande riforma” che si suppone dietro l’angolo, è sempre una scelta perdente. Di solito, le grandi riforme non arrivano, o non vengono attuate, e lo statu quo rimane quello vecchio;
  • si è persa un’occasione importante per rinnovare il curricolo della grande maggioranza degli istituti professionali. Il vero carico orario insostenibile per molti giovani non era quello delle quattro ore di approfondimento, ma quello delle 36 ore di lezione, quasi tutte d’aula nei primi due anni;
  • per questa via non si contrasta la dispersione altissima e non si realizza l’obbligo di istruzione. La flessibilità e la ragionevole moderazione nei piani orario continuano a non trovare diritto di cittadinanza in un settore che ne avrebbe bisogno più di ogni altro, in ragione delle caratteristiche dell’utenza al cui servizio di fatto si pone;
  • gli attesi risparmi – che potevano non piacere – di fatto non ci saranno. E per fine anno incombe la clausola di salvaguardia che autorizzerà il Ministero dell’Economia a sforbiciare le spese del Ministero inadempiente. Rischiamo di pagare con ulteriori tagli il rinvio della decisione ed il mancato coraggio nel realizzare le riforme. Diventa ancor più aleatoria la prospettiva di reperire risorse aggiuntive per far fronte alla gravissima situazione finanziaria delle scuole. Ne valeva la pena?