L’INValSI ha presentato stamattina, a Roma, un primo rapporto sui risultati dell’indagine internazionale OCSE PISA 2006.

La rilevazione, che fa seguito a quelle effettuate nel 2000 e nel 2003, era centrata sull’accertamento delle competenze dei quindicenni scolarizzati nelle aree della lettura, della matematica e delle scienze, con un maggiore approfondimento sulle discipline scientifiche.

Ogni ciclo di indagini PISA approfondisce, com’è noto, un’area specifica, pur rilevando anche le competenze degli studenti nelle altre: nel 2000 il focus della rilevazione fu la lettura, nel 2003 la matematica. Questa volta, le scienze.

In attesa di poter pubblicare i dati completi, cosa che faremo nei prossimi giorni, possiamo dare un resoconto di massima dei risultati, avvalendoci dell’esposizione fattane stamane dai ricercatori dell’INValSI.

Si può fin da ora affermare che il panorama della scuola italiana esce dalla ricerca con aspetti di forte criticità:

  • i dati sulle scienze ci pongono ai livelli più bassi della classifica fra i paesi partecipanti all’indagine, con un punteggio di 475, sotto la media OCSE che è di 500;
  • le competenze degli alunni sono ad un livello stazionario per quanto riguarda la matematica rispetto a quelle rilevate nel 2003 e comunque, come allora, ben al di sotto della media dei paesi OCSE.

Permane quindi la negatività dei risultati nelle discipline scientifiche ed in matematica, particolarmente preoccupante perchè esse sono essenziali per una scuola che voglia affrontare la sfida di incrementare la competitività del “sistema Paese”.
Inoltre:

  • il punteggio medio degli studenti italiani nella lettura (469 contro la media di 492) è diminuito in misura statisticamente significativa rispetto al 2000, quando si era collocato sotto la media OCSE. Ora questa situazione è peggiorata;
  • i risultati italiani continuano ad essere fortemente differenziati sia con riguardo alla tipologia di scuola (vanno meglio i licei con 518 punti, peggio i professionali con 414), sia rispetto alla loro distribuzione per aree geografiche (meglio il Nord est, 520 punti, peggio sud e isole con 432). Il tipo di scuola e la collocazione geografica degli istituti fanno quindi la differenza nei risultati di apprendimento.

Ma anche il modello organizzativo è un elemento di notevole discrimine.

Lo si desume da un’altra ricerca presentata, sempre questa mattina e nello stesso contesto, dal Prof. Angelo Paletta dell’Università di Bologna, effettuata sui risultati delle indagini campionarie dell’INValSI sugli alunni delle elementari, della prima media e della prima e terza classe delle superiori. La ricerca dimostra la grande incidenza dei modelli organizzativi delle scuole sulle performance di apprendimento degli studenti: i risultati sono migliori in quelle scuole nelle quali si adottano modelli “positivi” di management, come ad esempio quello della scuola come comunità di apprendimento, o come scuola “imprenditoriale” o, ancora, come “impresa sociale”. Sono invece peggiori nei casi in cui il modello organizzativo è caratterizzato prevalentemente da autoreferenzialità o ispirato ad una visione burocratico-amministrativa.

Questa ricerca apre interessanti possibilità di sviluppo per un’azione positiva che intenda contribuire a superare le difficoltà e a colmare i ritardi con gli altri paesi. Ci torneremo senz’altro in seguito.

Il Ministro Fioroni ha concluso i lavori con un suo intervento nel quale ha affermato che i dati evidenziano, nel sistema scolastico italiano, la persistenza di “una terribile emergenza educativa”, per contrastare la quale “la scuola non può essere lasciata sola”. Il Ministro ha prospettato, a tal fine, la necessità di un’alleanza fra scuola, famiglie e “sistema Paese”, basata sulla valorizzazione del merito e della serietà e sull’incentivazione delle eccellenze.