“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
Come ben sappiamo, l’articolo 33 della Costituzione esprime princìpi e valori fondamentali per il nostro sistema educativo. Da un lato, esso proibisce l’esistenza di una “arte di Stato” e di una “scienza di Stato”; dall’altro, statuisce con forza che gli insegnanti devono espletare la loro fondamentale missione liberi da condizionamenti ideologici. Più che un diritto, la libertà di insegnamento è un dovere.
Tale precetto costituzionale, purtroppo, viene talvolta invocato come pretesto per giustificare delle prese di posizione francamente inaccettabili. Tra esse, evidenziamo la preconcetta ostilità nei confronti della valutazione del personale docente, prassi normale e anzi obbligatoria nelle nazioni avanzate. O, ancora, lo scandaloso ostruzionismo dei sindacati di comparto nei riguardi del codice disciplinare del medesimo personale, rinviato sin dal CCNL del 2007 ad apposite quanto inconcludenti sessioni negoziali, in una sconcertante ottica di deresponsabilizzazione generalizzata che danneggia non solo la qualità del servizio scolastico ma anche e soprattutto la reputazione della categoria rappresentata.
Accogliamo dunque con grande soddisfazione un’interessante sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Larino, pronunciata il 30 settembre 2025, con la quale è stato respinto il ricorso di un docente avverso la sanzione disciplinare della censura, irrogata dal dirigente scolastico non per mancanze estranee all’insegnamento – come potrebbe essere un’assenza ingiustificata a una visita fiscale – ma per mancanze inerenti proprio all’attività didattica.
Al docente, infatti, era stata contestata l’insufficiente chiarezza delle spiegazioni in classe e il mancato riscontro alle ripetute richieste degli studenti di fornire chiarimenti sugli argomenti dagli stessi non compresi. Ciò a fronte di lamentele da parte dei genitori – comprovate dall’attività istruttoria del dirigente – sul fatto che il docente “una volta richiesto di tornare nuovamente su un argomento perché non chiaro, si limitava a ripetere quanto già detto, non offrendo altra possibilità agli studenti di colmare le lacune”. Una successiva ispezione aveva confermato che il docente era in possesso delle necessarie competenze disciplinari, didattiche e metodologiche, ma si rifiutava di ripetere, con motivazioni e terminologia diverse, i concetti non ancora chiari a qualche studente.
Il giudice ha respinto il ricorso e ha condannato il docente a risarcire all’amministrazione le spese di lite, quantificate in 3.689 euro oltre spese generali e accessori come per legge, fondando la sua decisione sugli articoli 40 e 41 del vigente CCNL di comparto, troppo spesso ignorati dagli stessi firmatari:
- “la funzione docente realizza – nel rispetto della Costituzione Italiana – il processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni, sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione”
- “i docenti, nelle attività collegiali, attraverso processi di confronto ritenuti più utili e idonei, elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico-didattici, il piano triennale dell’offerta formativa, adattandone l’articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio-economico di riferimento, anche al fine del raggiungimento di condivisi obiettivi qualitativi di apprendimento in ciascuna classe”
- “i docenti in servizio […] concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa tramite attività individuali e collegiali: di insegnamento; di potenziamento; di sostegno; di progettazione; di ricerca; di coordinamento didattico e organizzativo”.
Il giudice, esaminato il PTOF della scuola di servizio del docente, ha evidenziato come esso prevedesse, nei criteri di valutazione, anche la rilevazione da parte degli insegnanti dei livelli di apprendimento degli allievi e il controllo sull’efficacia delle procedure seguite, oltre all’impostazione delle attività di recupero e sostegno delle situazioni di svantaggio. Inoltre, il giudice ha richiamato la normativa regolamentare del Ministero in materia, evidenziando che essa consiste di “comandi di natura amministrativa che servono per attuare e disciplinare nel dettaglio gli atti aventi forza di legge ed è, quindi, vincolante”.
Il sacrosanto principio della libertà di insegnamento non va dunque confuso col diritto a insegnare male, essendo la prestazione lavorativa dei docenti vincolata dagli ordinamenti scolastici, dalle disposizioni regolamentari emanate dal Ministero, dai contratti collettivi e dal PTOF dell’istituto. In difetto, il comportamento del docente costituisce mancanza ai propri doveri e come tale va sanzionato.
Auspichiamo che questa importante decisione possa costituire un elemento di riflessione anche per il decisore politico, convincendolo ad affrontare con la dovuta determinazione le tematiche della valutazione del personale docente e della definizione del relativo codice disciplinare.
