Lunedì 8 giugno la CIDA è stata sentita dalla Commissione Lavoro della Camera nell’ambito dell’esame, in sede referente, del Disegno di Legge 3134 di conversione del decreto legge 65/2015 contenente “Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR”.

Giorgio Rembado, che guidava la delegazione confederale, ha incentrato la sua relazione sulle modalità di applicazione della sentenza n. 70/2015 della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il mancato adeguamento della perequazione delle pensioni negli anni 2012 e 2013.

Sono seguite le domande di chiarimento da parte del Presidente della Commissione Damiano e degli Onorevoli Gnecchi (PD) e Tripiedi (M5S) ai quali ha risposto il capo delegazione della CIDA.

Qui di seguito il testo della memoria consegnata.

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AUDIZIONE PRESSO LA COMMISSIONE LAVORO DELLA CAMERA 8 GIUGNO 2015

 

Gentile Presidente, gentili Onorevoli,

in merito al tema relativo agli effetti della recente sentenza della Corte Costituzionale sul mancato adeguamento della perequazione, la CIDA apprezza che finalmente il Parlamento e il Governo abbiano manifestato l’intenzione di sentire le opinioni di tutte le parti sociali.

La CIDA rappresenta la categoria dei dirigenti e quadri privati e pubblici, che è stata sistematicamente esclusa da ogni tipo di concertazione da parte di tutti i Governi che hanno deciso la sospensione della rivalutazione dei trattamenti pensionistici.

Si tratta di una categoria che ha subito continuativi blocchi della perequazione fin dal 1996.

Solo per inciso vorrei soffermarmi su un punto fondamentale che riguarda i manager, ovvero sulla ripetuta disinformazione che viene divulgata dai media, anche televisivi, su presunti vantaggi che i dirigenti avrebbero nell’ambito del sistema previdenziale italiano.

Ricordo che la categoria dei dirigenti pubblici e privati ammonta complessivamente a poco meno di 308 mila unità e rappresenta lo 0,7% del totale contribuenti/persone fisiche.

Eppure tale categoria, con un’imposta netta superiore ai 18 miliardi di euro, contribuisce per quasi il 12% al gettito totale IRPEF.

Ricordo anche che i dirigenti versano il 33% del proprio reddito in contributi, ma che al momento del pensionamento sono state applicate a tali redditi, con il sistema retributivo, aliquote decrescenti sul montante contributivo con il crescere del reddito.

Inoltre sulle pensioni dei dirigenti, come si è detto, sono stati operate ripetute sospensioni della rivalutazione (non solo nel biennio 2012-2013), che hanno notevolmente depauperato l’assegno pensionistico.

Secondo i nostri calcoli, che si basano sui dati Istat 2014, negli ultimi 14 anni il potere d’acquisto delle pensioni dei dirigenti si è ridotto complessivamente di oltre 8.500 euro.

Aggiungo infine che la categoria dei dirigenti, oltre ai contributi previdenziali e alle aliquote fiscali marginali più elevate, versa in solidarietà, anche per assicurare gli ammortizzatori sociali alle altre categorie di lavoratori, senza poterne godere se non in minima parte.

In sintesi i manager non sono dei privilegiati, ma una categoria che realizza, con orgoglio, una forte solidarietà sociale, che vorremmo venisse riconosciuta e ricordata quando si impostano le politiche fiscali e previdenziali.

Fatta questa doverosa premessa le organizzazioni della dirigenza hanno tentato di far comprendere le proprie ragioni a tutti i livelli, a partire da quelli politico-istituzionali. Non essendo stati ascoltati siamo stati costretti ad intraprendere la strada giudiziale.

Due Federazioni della CIDA hanno promosso diversi ricorsi contro la misura prevista dal decreto legge n. 201 del 2011, e dopo quattro anni la Corte Costituzionale ha dato loro ragione.

Il decreto legge n. 65, presentato dal Governo Renzi, non rende giustizia ai pensionati, sia a quelli che hanno assegni superiori ai 3.400 euro lordi e che non avrebbero alcun rimborso, sia a quelli che lo avrebbero soltanto parziale.

La categoria rappresentata dalla CIDA è stata di fatto esclusa dai meccanismi di restituzione previsti dal decreto legge n. 65.

Ci auguriamo che il Parlamento corregga l’impianto legislativo adottato dal Governo dando completa attuazione a quanto disposto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 70/2015.

 Con senso di responsabilità ci rendiamo conto, tuttavia che ragioni di bilancio non consentono di dare totale e immediata applicazione alla decisione della Consulta per cui chiediamo di provvedere almeno nel corso dell’iter di conversione del provvedimento all’adeguamento fino ad una certa soglia per tutte le fasce affinché il principio costituzionale del mantenimento dell’adeguatezza dell’importo pensionistico valga per tutti.

 Concludendo vorrei fare un rapido accenno ad un tema sul quale si è discusso molto in questi mesi, ovvero il ricalcolo delle pensioni in essere con il metodo contributivo, citato proprio, e questo sarebbe una vera beffa, per coprire la spesa da sostenere per dare seguito alla sentenza della Corte!

Tale misura, retroattiva, sarebbe totalmente iniqua perché basata su un metodo, quello del “forfettone” assolutamente empirico, che non rispecchia quanto è stato effettivamente versato in termini di contributi nel corso della carriera lavorativa.

Vorremmo, tra l’altro, che il Parlamento fosse consapevole del fatto che se si procedesse al cosiddetto “ricalcolo” sarebbero proprio le pensioni più basse ad essere più svantaggiate.

Anche se fosse solo pensata, nessuno accenna al fatto che la verifica necessaria da fare è su coloro che non hanno mai versato né imposte né contributi, iniziando, ad esempio, con un accertamento serio sui patrimoni effettivi di coloro che posseggono tutte quelle pensioni in cui non vi è stato il versamento di contributi, come ad esempio le pensioni al minimo.

 Un’annotazione importante: se è vero che la spesa pensionistica rappresenta il 17% del Pil è altrettanto vero che il 52% delle pensioni non è supportato dal versamento di contributi adeguati e pertanto per esse si ricorre alla fiscalità generale.

Andrebbe quindi finalmente fatta emergere la differenza tra previdenza e assistenza, e che la spesa pensionistica di fatto è solo la metà di quella finora indicata rispetto al Pil.

 Per far quadrare i conti le categorie a cui sono stati chiesti sacrifici nell’ultimo decennio sono sempre state quelle dei pensionati e lavoratori subordinati, in particolare con redditi medio-alti, che hanno rappresentato un bankomat permanente per ogni governo in carica.

Desideriamo che questo dato di fatto ci venga finalmente riconosciuto dalle istituzioni politiche.

Ringraziando, in conclusione, per l’opportunità che ci avete offerto di poter illustrare le nostre ragioni, auspichiamo che, come appreso dalla stampa, la CIDA possa tornare presto in Commissione in occasione della discussione parlamentare sul tema della flessibilità in uscita.

Anche su tale delicato argomento abbiamo infatti da formulare osservazioni e proposte, che vorremmo poter illustrare alla Commissione.

Grazie per l’attenzione