Il Ministro Fioroni ha firmato ieri l’altro il decreto sulle nuove modalità di assegnazione dei fondi alle scuole. Il provvedimento – del quale abbiamo già pubblicato il testo – non contiene sostanziali novità rispetto a quanto da noi diffusamente anticipato lo scorso 20 febbraio.

L’Anp conferma quindi le proprie valutazioni iniziali, che per chiarezza richiamiamo qui di seguito.

Il giudizio sulla direzione di marcia intrapresa è certamente positivo, perché si registra finalmente un cambiamento di rotta in direzione dell’autonomia finanziaria delle scuole e si attuano anche alcuni importanti interventi di razionalizzazione di sistema. I finanziamenti arriveranno direttamente, senza i ritardi dovuti al passaggio attraverso le contabilità speciali degli USR/USP; verranno da due soli capitoli; saranno assegnati (una volta superata l’attuale fase transitoria) a scadenze programmate e prevedibili; saranno trasferiti (almeno formalmente) senza vincoli di destinazione.

Si tratta di novità importanti in un sistema per troppo tempo ingessato e giunto al limite del collasso: novità che noi sollecitavamo da anni e che non possiamo che apprezzare ora che si avviano a diventare realtà.

Ma l’apprezzamento di principio non fa venir meno la constatazione che la realtà di fatto è tuttora diversa e sempre più lontana dalla sostenibilità.

E’ stato molto enfatizzato nei mesi scorsi l’annuncio che alle scuole sarebbero andati quasi 3 miliardi di euro rispetto a poco più di 100mila per il passato. Ora che i parametri numerici sono stati resi noti, è evidente che si tratta semplicemente di una diversa presentazione delle stesse somme già disponibili negli scorsi anni, semplicemente accorpate nei due nuovi capitoli. E tutto questo mentre altre disposizioni della stessa legge finanziaria intervengono in modo incisivo sugli organici e su altri parametri che comunque finiranno con lo scaricarsi sulle scuole.

Non si vede nessun segnale di inversione di tendenza rispetto alla politica dei tagli praticata negli ultimi sei anni. Abbiamo già denunciato e documentato lo scorso anno come le risorse disponibili per le scuole si siano ridotte (fra il 2001 ed il 2006) del 70% in media. Quelle risorse non sono aumentate per il 2007, mentre ulteriori tagli sono stati apportati al bilancio dell’istruzione.

Ancora: le modalità di individuazione dei fondi per le supplenze di fatto penalizzano ulteriormente le scuole. Le somme indicate nel decreto sono le uniche assegnate a budget e rappresentano mediamente solo il 40% della spesa storica per la stessa finalità. Eventuali integrazioni saranno assegnate solo a posteriori, sulla base di spese già sostenute e documentate e comunque per un importo non superiore a quello iniziale. In chiaro, questo significa che le scuole possono contare con ragionevole certezza, al massimo, sull’80% delle risorse ricevute in passato. Il rimanente 20% viene accantonato per eventuali interventi straordinari di riequilibrio: o forse in vista del prossimo decreto tagliaspese di fine esercizio (un film già visto).

Ma anche se così non fosse, siamo lontanissimi da quella logica di reale autonomia di gestione che sarebbe invece necessaria. Anzi: l’erogazione di un anticipo più che modesto, la sua integrazione solo sulla base di spese già affrontate dalle scuole, il monitoraggio degli USP mascherano (di fatto rafforzandolo) un centralismo che rappresenta l’esatto contrario delle scelte necessarie per migliorare realmente la gestione di questo vitale aspetto del funzionamento.

Noi rinnoviamo su questo punto la richiesta che avevamo già formulato durante la fase di predisposizione del decreto. Il primo acconto deve essere di misura molto superiore (dell’ordine almeno del 70% del totale) ed il saldo deve essere garantito, se si vuole instaurare una logica di gestione a budget. In caso contrario, si incentiva solo la prassi della maggiore spesa, per garantirsi la seconda rata e l’eventuale contributo aggiuntivo.

Lasciare il 20% ad una gestione centralizzata e discrezionale, al di là di ogni valutazione politica, è eccessivo. Alle esigenze di riequilibrio di sistema si deve far fronte con altri strumenti. Per esempio, con quelli che invochiamo da anni: che le supplenze lunghe, quelle derivanti da obblighi di legge, non gravino sui bilanci delle scuole. Così come dai bilanci delle scuole deve sparire la TARSU, o come adesso si chiama, che da sola prosciuga spesso l’intera dotazione destinata al funzionamento.

Riteniamo inoltre preoccupante che le scuole vengano mantenute in una fase di transizione – sarebbe più corretto parlare di ambiguità – di cui non si intravede la fine. Non si può mantenere in piedi il vecchio ed il nuovo, le antiche regole ed i nuovi principi, cercando di mettere insieme tutto ed il suo contrario.

Solo un esempio: le supplenze continuano ad essere regolate da un antiquato castello di norme, che le rendono in molti casi obbligatorie e che costringono a moltiplicare a dismisura le spese, anche solo per la ricerca e l’individuazione dell’avente diritto. Questo (e non l’articolazione dei capitoli di bilancio) è il vero vincolo alla loro gestione a budget: tanto più se poi le risorse attribuite alle scuole sono addirittura inferiori a quelle che prima erano disponibili per il sistema.

Se – come il Ministro ama ripetere e come noi non abbiamo motivo di dubitare – si vuole rafforzare l’autonomia, altre sono le strade da intraprendere.

Per esempio, cominciare a restituire alle scuole una parte delle risorse che sono state loro sottratte negli ultimi anni. Si parla molto in questi giorni delle eccezionali risorse finanziarie derivanti da un inatteso gettito fiscale: un vero segnale di discontinuità sarebbe quello di destinarne parte all’istruzione, che non può essere dichiarata risorsa strategica solo a livello di programmi di legislatura e nelle priorità del rinnovato governo (la seconda di dodici!) e poi essere lasciata soffocare nelle ristrettezze in cui da troppo tempo versa.

Per esempio, dare alle scuole – insieme a risorse finalmente significative – l’autonomia vera, quella di scegliere come e con quali regole e priorità utilizzarle. Altrimenti, l’autonomia finanziaria reale di cui dispongono consisterà, come sempre, nell’affannosa ricerca degli espedienti per sopravvivere.