Comunicato stampa CIDA

Venerdì 7 ottobre si è tenuta alla Camera dei Deputati presso la I Commissione Affari Costituzionali l’audizione della CIDA sullo schema di decreto legislativo relativo alla dirigenza (Atto di Governo n. 328).

Della rilevanza di un tale intervento riformatore nessuno può dubitare perché dalla qualità dei pubblici servizi – e, di conseguenza, dei dirigenti agli stessi preposti – dipende in larga misura la crescita del paese.

Sul Corriere della Sera del 1 settembre 2016 Sabino Cassese aveva ricordato che dalla riforma del 1972 (Governo Andreotti) ad oggi numerosi sono stati i tentativi di riordino della dirigenza pubblica, tutti o quasi fin qui inattuati, nonostante che alcuni dei principi ispiratori fossero largamente condivisi tanto da essere ripresi dalla attuale legge delega. Tra questi la necessità di creare l’unità della dirigenza, unificandola da tanti corpi fin qui separati. Ma tant’è le resistenze al cambiamento nel corso di tutti gli anni trascorsi hanno avuto la meglio. E hanno inceppato il meccanismo, producendo spesso incoerenze tra le finalità dichiarate nelle leggi delega e gli strumenti attuativi.

Ora noi non vorremmo che si ripetesse lo stesso errore e desidereremmo scongiurare il pericolo che tante lodevoli intenzioni espresse dal legislatore con la delega della legge 124 del 7 agosto 2015 diventassero altrettante “pie illusioni”. Ci siamo perciò posti davanti allo schema di decreto legislativo (Atto del Governo n. 328) con spirito costruttivo. Ne condividiamo le enunciazioni di fondo: l’obiettivo di creare l’unicità della dirigenza, orientata al risultato e valutata in relazione alle performance; l’autonomia dell’azione dirigenziale rispetto a quella degli organi di indirizzo politico.

Perciò ci soffermeremo sulle incongruenze per noi più evidenti nel tentativo di dare un contributo al superamento di alcune delle contraddizioni interne allo schema di decreto legislativo.

Ruolo Unico. Non si capisce perché lo si sia chiamato così, in quanto non è unico ma tripartito e pertanto unico è rimasto solo di nome.

Per di più non si comprende l’esclusione di alcuni profili dirigenziali, quali prefetti, ambasciatori, entrambi  appartenenti a categorie non contrattualizzate, o dirigenti scolastici. Ancora una volta la specificità ha avuto la meglio sull’identità della qualifica dirigenziale e ha tenuto in piedi antichi steccati, compromettendo però in tal modo il principale assunto della riforma. Specificità versus unicità? Ma anche nel ruolo unico delle funzioni centrali convivono profili di professionalità radicalmente diversi. Cosa avrebbero altrimenti a che fare, ad esempio, un dirigente di un’Agenzia fiscale e un dirigente di una Sovrintendenza archeologica, se non condividessero le responsabilità e i compiti gestionali del ruolo dirigenziale?

Se proprio si sentiva la necessità di mitigare l’unicità con la specificità, bastava prevedere un “quarto” R.U., accanto ai primi tre, in cui inserire i dirigenti delle scuole, degli istituti AFAM, delle Università e degli Enti Pubblici di Ricerca, così come si è fatto con l’accoro quadro 13/7/2016 in cui i quattro profili sopra nominati sono stati collocati in un’unica area contrattuale dell’istruzione e della ricerca.

Insomma ci sarebbe voluto un po’ più di coraggio innovativo per non cadere nella prima macroscopica contraddizione.

Diritto all’incarico. Siamo assolutamente contrari all’abbandono del principio del diritto all’incarico per il semplice decorso del periodo di quattro anni (oltre eventualmente altri due) dal termine del precedente indipendentemente da qualsiasi valutazione negativa del dirigente.

La stabilità del posto di lavoro è la principale garanzia a difesa della neutralità ed imparzialità delle Pubbliche Amministrazioni: un dirigente precarizzato è soggetto a qualsiasi forma di pressione proveniente dal livello di direzione politica dell’ufficio. Ne sono prova le società partecipate, enti spesso – nell’esperienza fin qui vissuta – di foraggio di interessi politici di parte, in cui i dirigenti non a caso sono assunti per chiamata diretta.

Riteniamo pertanto imprescindibile che il dirigente abbia diritto ad un incarico e conseguentemente che l’Amministrazione abbia il dovere alla scadenza dell’incarico precedente di conferirgliene un altro e che la perdita dello status di dirigente possa dipendere solo da ripetute valutazioni negative delle performance. Perfino nell’ordinamento federale degli Stati Uniti ne sono richieste almeno due nell’arco di un quinquennio.

Un tale processo però postula la necessità dell’introduzione di un sistema di valutazione delle performance dirigenziali ad elevata trasparenza.

Dirigente senza incarico: è anche incolpevolmente privato di parte consistente dei propri emolumenti retributivi, ricondotti al solo trattamento economico al primo anno, decurtato di un ulteriore terzo al secondo anno, con pesanti ricadute sul trattamento di quiescenza e di previdenza.

La CIDA propone invece la salvaguardia del trattamento economico in godimento a scadenza di incarico per almeno un triennio.

Le tre Commissioni per la dirigenza dei ruoli unici devono rappresentare la vera garanzia per l’autonomia dei dirigenti dalla politica e sono pertanto lo snodo fondamentale della riforma. Ma proprio per questo la loro composizione è di particolare rilevanza perché costituisce al tempo stesso uno strumento indispensabile e una verifica sostanziale della volontà da parte della politica di cambiare il sistema. La previsione di una Commissione di sette membri, di cui cinque individuati in parte tra le figure apicali delle Amministrazioni, non risponde ai requisiti richiesti dalla delega e alle esigenze di lavoro della Commissione. Intanto per gli altissimi incarichi ricoperti i cinque componenti sopra richiamati sono personalità contigue al Governo in carica, dal quale derivano il loro mandato. Non sono poi espressione di competenze affini con quelle dei dirigenti appartenenti ai ruoli unici. E non potrebbero disporre del tempo e della concentrazione necessari per lo svolgimento dei compiti loro assegnati, che, a nostro giudizio, richiedono full time e impegno esclusivo. A loro toccherebbe essenzialmente il potere di firma su decisioni ampiamente predeterminate in fase istruttoria dagli uffici di supporto, con buona pace dell’indipendenza dal livello politico.

Una Commisione costituita per l’assolvimento dei compiti previsti dalla delega potrebbe essere, a nostro giudizio, formata da membri scelti tra personalità di notoria indipendenza che dovrebbe essere filtrata dal vaglio delle Commissioni parlamentari competenti, dovrebbe poter lavorare full time con incarico non rinnovabile della durata di sei anni

Incarichi dirigenziali a tempo determinato. L’incarico a tempo determinato ha natura derogatoria rispetto alla norma stabilita in Costituzione che richiede il concorso pubblico per l’assunzione dei dirigenti. C’è da chiedersi se la deroga sia compatibile e opportuna nei casi in cui riguardi un numero elevato di persone (fino al 30 per cento dei posti di funzione presso le autonomie locali e in misura illimitata per i dirigenti delle sezioni speciali).

La sopravvivenza dell’istituto dovrebbe, a nostro parere, essere ricondotto ad alcune condizioni, quali il preventivo accertamento della non rinvenibilità tra i dirigenti dei tre ruoli unici delle competenze richieste (situazione di fatto resa meno facilmente riscontrabile proprio dall’allargamento del numero dei dirigenti e dei loro profili di competenza con la costituzione dei ruoli unici), la fissazione di un tetto complessivamente non superiore all’otto per cento per i dirigenti non di carriera e il conferimento esclusivo ai dirigenti di carriera di incarichi particolarmente delicati che richiedano doti di eccezionale imparzialità in uffici deputati alla gestione di contratti di appalto o ad attività a forte impatto autorizzatorio.

Responsabilità gestionali del dirigente pubblico. Già esistono nell’ordinamento vigente in ossequio al principio della distinzione tra la funzione di indirizzo e quella di gestione. Dubbia appare invece l’accentuazione prevista dall’art. 11 del decreto nella parte in cui recita che i dirigenti “sono titolari in via esclusiva della responsabilità amministrativo-contabile”. Tale precisazione rispetto alla normativa vigente non può che introdurre una esimente in materia di responsabilità degli organi di direzione politica, che dal canto loro invece possono aver influenzato – quando non addirittura costretto – il dirigente a compiere determinate scelte per la sussistente responsabilità dirigenziale per inosservanza di direttive.

Che si sia cercata la strada per l’introduzione di un’ulteriore forma di immunità per la politica?

Si propone pertanto l’eliminazione dell’inciso.

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