Scriviamo queste note mentre del
decreto legge sulla scuola, adottato ieri 9 settembre dal Consiglio dei
Ministri, si conoscono solo le sintesi pubblicate dagli organi di stampa. Ma
già alcune linee di tendenza appaiono sufficientemente chiare e consentono
quindi una prima valutazione.

Una prima nota positiva, anche se
di valore soprattutto simbolico. Per la prima volta, un Consiglio dei Ministri
è stato centrato sui problemi dell’istruzione e della scuola. Non accadeva da
tempo e si tratta di una novità che va apprezzata.

Va apprezzata anche – quanto meno
come segnale di inversione di una tendenza che aveva caratterizzato l’ultimo
decennio – la decisione di stanziare risorse “fresche” per la scuola,
quantificate (non sappiamo con quale precisione) in 400 milioni. Una briciola,
rispetto agli oltre 8 miliardi sottratti negli ultimi cinque anni, ma pur
sempre un segnale nella direzione giusta.

Ci si può interrogare invece
sulla ripartizione interna di questa previsione di spesa, che appare
sbilanciata soprattutto sul versante “assunzione di personale”: ancora una
volta, prevale la convinzione che quel
che va bene per il personale va bene per la scuola
. Intendiamoci: la
questione del precariato va risolta, ma non è alimentando aspettative sul
ricorrente ricorso a misure straordinarie che si prosciugheranno le liste di
attesa. Come non appare positivo aver ancora una volta ricacciato di fatto
indietro nella fila i più giovani e coloro che hanno investito studio, tempo e
denaro nella frequenza dei TFA.

Quel che noi chiediamo è noto da
tempo: le risorse destinate a nuove assunzioni devono fare spazio al merito
individuale, non al semplice scorrimento di graduatorie. Ed è tempo anche che
si dia maggiore autonomia reale alle scuole nella scelta dei propri docenti.
Invece, la ricetta è sempre quella del centralismo e della gestione (inefficiente)
di liste sterminate di aspiranti.

Dobbiamo apprezzare in via
generale anche l’innovazione relativa al reclutamento dei dirigenti. Positiva,
sicuramente (se sarà attuata), la cadenza annuale prevista per i concorsi per
la copertura “di tutti i posti vacanti”; positivo (vista la devastante prova di
inefficienza fornita dai concorsi regionali), anche il ritorno ad un’assunzione
su scala nazionale. Tutto il resto è avvolto nella nebbia: ci auguriamo di
saperne di più e soprattutto che il decisore politico ascolti i suggerimenti
che avevamo formulato in materia; per esempio, nella nostra “Proposta per la
scuola nella XVII legislatura”.

Apprezziamo, con qualche riserva,
la decisione di concedere l’esonero dall’insegnamento ai vicari delle scuole
date in reggenza al dirigente di un’altra istituzione. La riserva nasce
essenzialmente da un punto, che ci auguriamo venga corretto in sede di
conversione: non si comprende in che cosa una reggenza conferita in Lombardia o
in Abruzzo sia diversa dalle numerose altre conferite in Piemonte o nel Lazio.
E allora perché limitare l’esonero alle regioni nelle quali il concorso non si
è concluso? Se la previsione venisse mantenuta, si profilerebbe l’ennesimo
contenzioso di fronte ai Tar dei vicari di tutte le altre regioni, discriminati
senza motivo.

Infine una parola sull’abolizione
“in corsa” del bonus maturità. A nostro avviso, ci sono due aspetti opinabili
in questa decisione: l’aver cambiato le regole a partita aperta e l’aver rimosso
i sintomi senza prendere in considerazione la malattia. Non si può, come ha
fatto il Ministro, dichiarare che la decisione era necessaria perché così si
sono evitate “iniquità”, senza affrontare la radice profonda di quell’iniquità:
la credibilità scarsa o nulla degli “esami di stato” nella loro attuale
formulazione. E, più in generale, la scandalosa varianza di risultati e di
criteri di valutazione fra una scuola e l’altra. Non è spostando la polvere
sotto il tappeto che si fa pulizia in casa.