Il colore del gatto
Molti anni fa, quando era di moda
guardare alla Cina, veniva citato spesso un aforisma attribuito a Deng
Xiaoping: “non importa di che colore sia il gatto, l’importante è che mangi il
topo”.
Altri tempi ed altra sinistra.
Quella parte di essa che ha voluto il referendum del 26 maggio a Bologna, per
esempio, sembra fermamente convinta che il colore del gatto – cioè di chi
gestisce le scuole dell’infanzia – sia l’unica cosa che conta.
I dati di fatto sono stati molte
volte ricordati: Bologna è governata da una giunta di sinistra e fu un’altra
giunta di sinistra, quasi vent’anni fa, ad inventare quel modello di
sussidiarietà educativa i cui risultati si vedono oggi: quasi il 99% dei
bambini dai tre ai sei anni frequentano la scuola dell’infanzia, un dato di
eccellenza a livello internazionale.
Di quel 99%, una piccola parte –
circa un quinto – frequenta scuole paritarie, quasi tutte cattoliche. Molti di
più sono quelli che frequentano scuole comunali. Ognuno di loro costa quasi settemila
euro l’anno, mentre il contributo per le famiglie che scelgono di iscrivere i
figli alle scuole paritarie è di appena 600 euro. Con un costo, per
1800 bambini, di un milione di euro su trentasei milioni complessivi.
Detto in un modo diverso: se quei
contributi non ci fossero ed il Comune dovesse farsi carico di tutti i bambini
che ora ne beneficiano, spenderebbe dieci volte tanto. Più realisticamente,
visto che i soldi sono quelli che sono e che il patto di stabilità non
consentirebbe in ogni caso di spendere di più, nove su dieci di loro
rimarrebbero senza una scuola da frequentare.
Fiat justitia, pereat mundus? Non
può certo essere questa l’intenzione che muove i promotori del referendum: ma
questo ne sarebbe l’effetto, se dovesse prevalere l’opzione A, quella che
propone di non sostenere più le scuole paritarie dell’infanzia. Con buona pace
dell’uguaglianza dei diritti – quella sì sicuramente di rilevanza
costituzionale.
Per una volta, il fronte del “no”
è largo e trasversale, includendo tutte le principali forze politiche ed un
arco di soggetti che vanno dalla CEI alle Coop. E non ci sarebbe bisogno di
scomodare Manzoni per ricordare che quando Perpetua e il cardinal Borromeo la
pensano allo stesso modo, questo vuole pur dire qualcosa.
Si eviti almeno, per rispetto
della Carta costituzionale, di tirarla in ballo in questa questione: non si può
usare la Costituzione contro se stessa, per negare il diritto all’istruzione ad
una parte dei cittadini e per ridurre la misura dell’uguaglianza fra di loro. Quando
si contrappone la lettera di una norma alla ratio che la ispira non si rende un
buon servigio alla norma e neanche alla società civile, che deve trovare in
essa una tutela e non un nemico.
Se ne ricordino i cittadini di
Bologna domenica prossima: e scelgano di confermare, con l’opzione B, una decisione
che ha giovato alla scuola. Non sarà perfetta, ma è l’unica che abbiamo: e non
la si difende partendo dalla demolizione di ciò che va bene, nella ricerca
irrazionale del “meglio assoluto”. Una volta, a sinistra, si sapeva che
l’estremismo è la malattia infantile del comunismo. Stupisce che a
quell’eredità politica e culturale si richiamino oggi coloro che si comportano
come se l’avessero dimenticato.