Lo speciale statuto di autonomia di cui usufruisce la Provincia di Trento ha più volte permesso negli scorsi anni di adottare in materia di istruzione soluzioni innovative e di avanguardia, cui non di rado si è ispirato anche il legislatore nazionale. Abbiamo il fondato timore che questa volta non sarà così: il desiderio di distinguersi e di marcare in modo radicale la diversità rischia di compromettere molte delle cose positive che erano state costruite in passato.
Noi non mettiamo in discussione le finalità dichiarate cui si ispirano i nuovi piani di studio, che ci trovano in larga misura concordi. Riteniamo però che:
- ci sia una contraddizione evidente fra le finalità e gli strumenti che si vogliono mettere in campo;
- si sia scelta la strada del dirigismo dei tecnocrati amministrativi anziché quella del coinvolgimento dei professionisti della scuola.
Sul primo punto, ci limitiamo ad un paio di osservazioni:
- si dice, giustamente, di voler ridurre il carico mentale che grava sugli studenti, attraverso una riduzione del carico orario e del numero delle materie. Ma la realtà è diversa: 34-36 unità di lezione – anche se ridotte d’imperio a cinquanta minuti – sono più pesanti dell’equivalente tempo complessivo scandito in unità di sessanta minuti. Per memoria, a livello nazionale ci si attesta su 30-31 ore (licei);
- quanto alle materie, prendere due discipline e farne una materia sola per dichiarare che si sono alleggeriti i piani di studio è qualcosa che urta contro l’evidenza, a tacere di argomentazioni didattiche che pure non sono di secondaria importanza.
Sul secondo, è sempre più evidente che l’autonomia cui si fa continuo riferimento è quella degli uffici provinciali che sovrintendono all’istruzione e non quella delle scuole. Non altro significano misure come la predeterminazione della durata oraria, il vincolo posto sugli orari di Italiano e Matematica, il divieto di operare compensazioni fra area comune e area di indirizzo e molto altro ancora. Che flessibilità si può ipotizzare nell’area di indirizzo quando in essa è presente una sola materia (biennio del liceo scientifico e del liceo linguistico)?
Per ognuna di queste decisioni c’è naturalmente una spiegazione “tecnica”, che può risultare convincente o meno. Ma il punto non è questo: è che, a quanto pare, in via Gilli sono convinti di avere il monopolio della ragionevolezza. Che bisogno c’è di affidare alle scuole ed ai docenti il compito di decidere come organizzare il proprio lavoro, se c’è qualcuno che ritiene di poter trovare in ogni caso le soluzioni migliori e più ragionevoli? Gentile non avrebbe fatto cose molto diverse: ma era il ministro di un diverso governo. E’ lecito chiedere cosa ne pensa il presidente Dellai? E’ lecito ricordare che la tecnocrazia – anche quando è competente, e non sempre lo è – costituisce l’antitesi della sussidiarietà e dell’autonomia? O della libertà?
La libertà si alimenta con la libertà: particolarmente in ambito scolastico. Si ritiene che docenti privati di ogni ragionevole potere decisionale su aspetti importanti del proprio lavoro possano sentirsi motivati, e motivare a loro volta? Si è convinti che studenti obbligati a seguire piani di studio parcellizzati e rigidi saranno più interessati agli studi e daranno risultati migliori?
L’Anp è sempre stata convinta del contrario. Il compito dei decisori politici in materia di istruzione è quello di fissare gli obiettivi e gli standard, di assicurare le risorse e di valutare i risultati effettivamente raggiunti. Non quello di regolamentare i processi quotidiani.
Si parla molto di “responsabilizzare” i docenti ed i dirigenti, ci si sforza di adottare strumenti che consentano di giudicare la qualità del loro lavoro. A queste condizioni, non ne vale la pena. Se tutto è organizzato dal centro, se ogni decisione risulta ingabbiata, quali sono i margini su cui ha senso giudicare?