Come è noto, l’art. 5 della legge 24-12-2007 n. 247 stabilisce, per il 2008, il blocco della perequazione automatica delle pensioni di importo superiore a otto volte il trattamento minimo Inps (euro 3489,12 lordi mensili). La misura è stata introdotta per concorrere, in modo “solidaristico”, al finanziamento di alcuni interventi sulle pensioni.

Secondo la CIDA è di tutta evidenza, che il mancato adeguamento all’inflazione costituisce, anche dal punto di vista giuridico, una decurtazione permanente del credito pensionistico.

Il che, tradotto in termini tributari, integra i requisiti di una vera e propria imposta patrimoniale. In sostanza i percettori di tali redditi saranno di fatto sottoposti vita naturaldurante ad una imposta di due punti circa superiore all’aliquota massima applicabile ai redditi più alti del paese.

Ricondotta alla sua reale configurazione l’idea di una imposta patrimoniale circoscritta non alle grandi fortune, bensì ai soli percettori di alcune migliaia di euro, purché a titolo di pensione, mostra tutta la sua carica di incostituzionalità.

Il reddito da pensione, infatti, rientra nel novero del reddito da lavoro, sia pure differito a scopo previdenziale. Ogni distinzione da altre fonti di reddito non potrebbe che essere di favore e non di avversione, alla luce del art. 1 della Costituzione che proclama l’Italia “Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

Per queste ragioni, la CIDA ha conferito mandato ai suoi legali di predisporre un ricorso in difesa degli interessi di un gruppo di pensionati penalizzati dalla norma al fine di ottenere il rinvio della questione alla Consulta.

L’obiettivo è quello di pervenire alla dichiarazione di incostituzionalità della norma e il conseguente venir meno di ogni effetto da essa prodotto.