Il Senato ha votato la fiducia al Governo sul Disegno di Legge 1934 di riforma della scuola. Manca ancora un passo, cioè il secondo voto della Camera – il cui esito appare peraltro scontato.

Giunge così a conclusione un percorso avviato con gli annunci del Governo nell’estate 2014, poi transitato attraverso l’ambizioso documento politico presentato a settembre e seguito da una serie di passaggi parlamentari che ne hanno in parte ridimensionato l’originaria carica riformatrice.

Sarebbe tuttavia ingiusto non riconoscere che il testo finale contiene parecchi elementi di innovazione, che incideranno sul modo di funzionare delle scuole, a cominciare da quel discusso piano di assunzioni che ha comunque il merito di ripristinare nella sostanza l’idea di organico funzionale: non del tutto nuova, ma troppo frettolosamente abbandonata quindici anni fa. Per tacere del valore sociale di un risarcimento, per quanto tardivo, a migliaia di docenti finora confinati nel ghetto del precariato “ad esaurimento”.

Altri però sono gli aspetti che a noi appaiono più positivi: a cominciare dal fatto stesso che finalmente il disegno di legge va in porto: mentre – appena una settimana fa – tutto sembrava (per dichiarazione dello stesso Renzi) dover slittare all’anno prossimo. Ci sembra giusto ricordare che, a sbloccare una situazione di stallo, ha molto contribuito anche la nostra ferma presa di posizione e l’iniziativa di mobilitazione prontamente avviata con una raccolta di firme nella categoria.

Il DdL va in porto e ci va “tutto insieme”, nonostante una campagna violentissima, condotta dai sindacati del comparto e da un variegato universo di movimenti, che fino all’ultimo ha tentato di ottenere il cosiddetto “stralcio”: sì alle assunzioni e rinvio per tutto il resto.

Uno degli strumenti di questa campagna è stato il vero e proprio linciaggio morale condotto nei confronti dei dirigenti, accusati di tutto l’accusabile e fatti oggetto di dileggio sui social network, e purtroppo non solo. Si è cercato a lungo di far credere che la riforma fosse una resa dei conti interna fra presidi e docenti, anziché un’opportunità per cambiare finalmente almeno qualcuno degli elementi di una situazione stagnante: che nessuno ama, ma a difesa della quale tutti insorgono non appena si enunci un qualsiasi progetto di cambiamento.

Dal testo finale è scomparsa una clausola osteggiata dalla maggior parte dei dirigenti, perché interpretata come una ritorsione ai loro danni: quella relativa al limite temporale nell’incarico dei dirigenti su una stessa sede. Non è un risultato da poco e non era affatto scontato, data l’esplicita intenzione che aveva originato la proposta: introdurre un contrappeso ai “poteri” del preside.

Fra questi ultimi, è rimasta la clausola impropriamente definita della “chiamata diretta”, anche se – essenzialmente per motivi organizzativi – la sua decorrenza slitta al prossimo anno scolastico. E comunque rimane in capo al dirigente, fin da quest’anno, formulare le richieste in vista dell’attribuzione dell’organico “aggiuntivo”. Sempre collegata a questo organico rinforzato, la possibilità di assicurare funzioni che erano state cancellate dalla legge di stabilità (una per tutte: l’esonero dei collaboratori).

Confermata anche la valutazione “premiale” del merito, che rimane competenza del dirigente, seppure sulla base di criteri espressi dal comitato di valutazione. Lo stesso si dica per la conferma in ruolo dei docenti in anno di prova: anche qui la parola finale spetta al dirigente, mentre il comitato esprime un parere. Opportunamente, a nostro avviso, il comitato stesso – limitatamente a questa funzione – agisce con la sola partecipazione del dirigente e dei docenti: mentre rimane la composizione allargata (ad un genitore, uno studente ed un esterno) per tutte le sue altre funzioni.

Ulteriore dato positivo per la categoria: dopo oltre due anni di pressione sul Governo, si porta a casa una consistente integrazione del Fondo Unico Nazionale: che per circa metà è strutturale, mentre per una parte piuttosto consistente si tratta di un’erogazione una tantum per il 2016 ed il 2017, a parziale ristoro di quanto indebitamente trattenuto sulla RIA dei pensionati negli scorsi anni.

Allargando la ricognizione ad aspetti meno direttamente connessi con la posizione del dirigente, vanno ricordate in positivo almeno due innovazioni: la possibilità, finalmente concreta, di introdurre opzioni nel curricolo e l’affermazione che la formazione in servizio dei docenti è obbligatoria, permanente e strutturale.

Sempre parlando di aspetti di sistema: il progressivo passaggio dall’organico di istituto a quello di ambito territoriale consentirà di ampliare gli spazi operativi per il progetto di istituto e per un incontro fra domanda ed offerta di formazione meno sbilanciato dell’attuale.

Tutto bene, allora? Dopo tante mediazioni, sarebbe impossibile persino ipotizzarlo. Abbiamo segnalato a più riprese il nostro rammarico per l’abbandono di altri aspetti innovativi e per noi rilevanti. Ma la campagna per la Buona Scuola che oggi si avvia a conclusione segna comunque un punto di non ritorno nell’organizzazione del servizio di istruzione: da struttura finalizzata prevalentemente ad amministrare gli interessi del personale a comunità progettuale che ruota intorno ad un progetto di formazione dei giovani studenti. E che a questo fine indirizza l’utilizzo delle risorse.

Spetta adesso ai dirigenti dimostrare nei fatti che i timori e le paure lungamente agitati dagli avversari del cambiamento erano strumentali e solo tesi alla conservazione dell’esistente. Da settembre in avanti avranno l’opportunità di far vedere che la scuola può migliorare, se dispone delle risorse necessarie ed è guidata con gli strumenti opportuni.