Sentiamo tutti l’esigenza di superare la drammatica fase di stallo che il coronavirus ha imposto alla nostra società. Nel Nord Europa il servizio scolastico è già ripartito o sta per ripartire, con varie diversificazioni. Per quello che sappiamo, alcuni paesi non hanno mai rinunciato alla scolarizzazione in presenza dei bambini di infanzia e primaria per i quali – più che per gli alunni più grandi – l’apprendimento in classe ha rilievo essenziale per il successo formativo.

In Italia non è stata ancora presa una decisione definitiva anche se circola con insistenza l’ipotesi di rientro a settembre. Alcune indiscrezioni di stampa prospettano, addirittura, lo svolgimento in presenza dell’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di studi.

L’ANP chiede al Governo di esplicitare quanto prima le proprie scelte che, per quanto supportate dalle competenze di un nutrito gruppo di esperti, dovranno avere il carattere di una sintesi politica di alto livello. Siamo perfettamente consapevoli, infatti, della difficoltà di far coesistere due esigenze drasticamente contrapposte.

In primo luogo, vi è la richiesta di ritorno alla normalità che, oltre ad avere un forte valore simbolico di superamento collettivo della crisi, è un passo necessario verso la celere ripresa di tutte le attività lavorative. Ripresa di cui vi è assoluta necessità, se si vogliono mantenere i preesistenti livelli di benessere socioeconomico.

Comprensibile, in questo senso, la spinta per la riapertura delle scuole che arriva dalle forze produttive. Il servizio che la scuola offre, infatti, ha anche un alto valore sociale poiché consente alle famiglie e, dobbiamo riconoscerlo, soprattutto alle donne, di dedicarsi alla propria attività lavorativa. Questa funzione è particolarmente rilevante in una società democratica ed aperta, nella quale i bambini e gli adolescenti frequentano per molte ore un ambiente ricco dal punto di vista educativo, votato all’istruzione e alla formazione.

A favore della ripartenza della didattica in presenza (DIP) gioca un ruolo decisivo la consapevolezza che la crescita intellettiva e culturale, specie per i più piccoli, si nutre soprattutto di relazionalità emotiva con i coetanei e con i docenti e che gli alunni appartenenti alle fasce sociali più svantaggiate corrono un più elevato rischio di esclusione dalla didattica a distanza (DAD). Per non parlare del nostro modello di inclusione che necessita di rapporti interpersonali e di condivisione nel gruppo dei pari.

Molto ci sarebbe da dire, in verità, su questa asserita maggiore disparità sociale della DAD, specie alla luce dei ben noti esiti di tutte le rilevazioni nazionali e internazionali, ma oggi è innegabile che sussistano tre specifiche ragioni di esclusione: carenza infrastrutturale di accesso a internet, carenza di dotazioni tecnologiche, difficoltà o impossibilità per la famiglia di seguire lo studio domestico.

In secondo luogo, va tenuta in debita considerazione la sicurezza di tutti: alunni, famiglie, personale. Sarebbe da irresponsabili far tornare a salire il triste conteggio delle vittime che, come abbiamo constatato, risulta particolarmente severo con l’età adulta. Se l’epidemia colpisse il centro-sud con la stessa virulenza con cui ha funestato la Lombardia, il terribile conteggio delle vittime si accrescerebbe notevolmente.

Riteniamo quindi che, anche se dirigenti e docenti sono stati in grado di far fronte esemplarmente, alla situazione di emergenza didattica, in materia di sicurezza sia necessaria la fissazione, asseverata dalle autorità sanitarie nazionali, di adeguati protocolli.

Per consentire a milioni di alunni di riprendere la frequenza regolare delle lezioni è necessario, per esempio, valutare con estrema attenzione l’impatto sul trasporto pubblico e su quello privato. All’interno degli edifici scolastici appare difficile applicare protocolli di tipo aziendale sia per la carenza di risorse economiche sia per la natura dell’attività stessa che, tipicamente, è composta di relazione in vicinanza e di accoglienza per gli alunni di tutte le età e non solo per i più piccoli. Infine, se si volesse applicare il distanziamento sociale, si dovrebbe tener conto del rapporto medio tra numero di alunni per classe e superficie delle aule, oltre che delle peculiarità logistiche che determinano inevitabili assembramenti.

Di certo, sarà necessario un cospicuo investimento in dispositivi di protezione individuale e in servizi di sanificazione, così come sarà necessario ripensare l’organizzazione generale del servizio. L’estrema complessità e diversificazione delle nostre realtà urbane potrebbe, peraltro, rendere fattibile già oggi, nei piccoli comuni a bassa densità abitativa, quello che potrebbe essere impossibile domani in realtà metropolitane.

Al di là della inevitabile contingenza, la vera sfida secondo l’ANP consiste nel trasformare l’emergenza in opportunità di miglioramento di tutto il sistema educativo per ristrutturarlo in profondità: chiediamo, quindi, che l’ingente finanziamento a debito sia utilizzato per rilanciare la nostra scuola, per mutarne prospettiva, visione e paradigma organizzativo, per realizzare finalmente quel principio autonomistico fin qui proclamato, ma sempre frenato da rigidità e strettoie di ogni genere, ad iniziare da una incisiva, e mai attuata, semplificazione della normativa.