Presso la Camera dei Deputati è in esame il disegno di legge ordinaria A.C. 2423 “Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico” finalizzato appunto all’introduzione di tale consenso, da parte delle famiglie, affinché gli alunni minorenni possano partecipare ad attività scolastiche attinenti all’ambito della sessualità. Esso risulta assegnato alla VII Commissione Cultura in sede referente. Su tale provvedimento è intervenuto da pochi giorni un emendamento che ha esteso il divieto di progettualità legate all’ambito della sessualità a tutto il primo ciclo di istruzione. Tale divieto, quindi, riguarda adesso anche la scuola secondaria di primo grado.  

Ad avviso dell’ANP, il provvedimento in esame prospetta due seri ordini di problemi: uno di ordine giuridico-organizzativo; l’altro, più ampio, di concezione sociale. 

Per quanto riguarda le problematiche rientranti nel primo aspetto, oltre a ricordare la tutela offerta dall’articolo 117 della Costituzione all’autonomia scolastica, occorre sottolineare che esiste una fondamentale distinzione tra progettualità curricolare ed extracurricolare. Il testo proposto, invece, pretende di equipararle quando si riferiscono all’ambito della sessualità. Le attività curricolari, in quanto obbligatorie, hanno un forte radicamento nell’articolo 97 della Costituzione e dipendono esclusivamente dall’azione amministrativa scolastica, chiamata a tradurre in atti concreti le scelte legislative. Quelle extracurricolari, facoltative ex se, possono e anzi devono prevedere, per ragioni ovvie, il consenso da parte delle famiglie. 

Non ignoriamo certo come la carta costituzionale tuteli anche, all’articolo 30, il diritto delle famiglie a educare i figli. La contemporanea sussistenza di diritti costituzionali potenzialmente confliggenti, però, non è una novità e non costituisce una stranezza negli ordinamenti democratici. L’attività legislativa consiste proprio nella ricerca dell’equilibrio tra le varie esigenze – che trovano nei diritti la loro quintessenza – e nell’approvazione di disposizioni che le contemperino. È proprio questo il senso della felice espressione “nessun diritto è tiranno” formulata dalla Corte Costituzionale per ribadire la necessità di bilanciare tra loro i diritti senza farne prevalere esageratamente alcuno. 

Tale equilibrio, nell’ordinamento scolastico, è garantito anche dall’obbligo, per le scuole, di pubblicare il PTOF per far sì che le famiglie possano visionarlo e scegliere consapevolmente la scuola che preferiscono. Ma, una volta effettuata l’iscrizione, la natura pubblica della missione educativa non può essere disconosciuta e all’azione amministrativa scolastica non sono opponibili veti genitoriali, come affermato dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione nella ben nota Ordinanza n. 2656/2008 di cui non è superfluo riportare un celebre passaggio: l’amministrazione scolastica può legittimamente svolgere la propria funzione istituzionale con scelte di programmi e metodi didattici potenzialmente idonei a interferire e anche eventualmente a contrastare con gli indirizzi educativi delle famiglie, non solo nell’ approccio alla sessualità, ma anche nell’insegnamento di specifiche discipline. 

Aggiungiamo a margine che, se un progetto deliberato dagli organi collegiali e inserito nel PTOF dovesse essere vincolato al benestare delle famiglie, la scuola si trasformerebbe da soggetto pubblico, erogatore di un servizio erga omnes finalizzato al bene collettivo, a soggetto privato che confeziona prodotti on demand. 

Sul piano organizzativo, rileviamo ulteriori incongruenze. Il testo attribuisce al consiglio di istituto competenze in materia di selezione degli esperti esterni che sono poste in via esclusiva in capo al dirigente scolastico, violando il principio di distinzione delle competenze tra organo di gestione e organo di indirizzo politico statuito dall’articolo 4 del d.lgs. n. 165/2001. 

Non riteniamo condivisibile, inoltre, la clausola di invarianza finanziaria, in quanto nettamente contrastante con l’obbligo di garantire attività formative alternative per gli studenti non aderenti ai progetti. Evidenziamo che tale possibilità sussiste solo per le attività alternative all’insegnamento della religione cattolica: non a caso, infatti, esse sono finanziate da appositi capitoli di spesa.  

Per quanto concerne il secondo aspetto, non possiamo fare a meno di osservare che le innovazioni legislative in questione sembrano ispirate a una visione sociale che ormai, piaccia o no, risulta ampiamente superata dalla realtà.  

Non è possibile continuare a pensare che l’attività di formazione di bambini e adolescenti sia costituita da due ambiti rigidamente separati tra loro: da un lato, la crescita psicologica, relazionale, affettiva e sessuale – in una parola, “l’educazione” vera e propria – spettante in via esclusiva alla famiglia; dall’altro, “l’istruzione” in senso stretto, spettante alla scuola. 

Non è possibile ignorare che i nostri figli sono quotidianamente raggiunti, attraverso i media digitali, da contenuti a carattere sessuale terribilmente distorti e diseducativi. L’eventuale scelta di proibire alla scuola di occuparsi con professionalità della loro educazione sessuale – ovviamente tenendone l’età in debito conto – li abbandona irresponsabilmente a una esposizione incontrollata, capace di condizionarne la crescita in negativo, prodromica allo sviluppo di convinzioni deviate e inaccettabili. 

Quando si assiste con orrore all’ennesimo femminicidio, la società si interroga puntualmente su cosa fare e, inevitabilmente, chiede alla scuola di prendere iniziative. Ecco, il ruolo della scuola oggi è anche quello di educare lato sensu: educare alla vita collettiva, al rapporto con gli altri; non più insegnare solo a scrivere, leggere e far di conto. Non è un caso che sia stata approvata qualche mese fa la legge n. 22/2025 ( comunicato del 14 marzo) volta a introdurre lo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nelle istituzioni scolastiche: per vivere in un mondo sempre più complesso è necessario disporre di soft skill sempre più sofisticate, come mai accaduto prima. Non possiamo e non dobbiamo accettare un ordinamento strabico. 

Vogliamo infine ricordare che il rapporto UNESCO 2023 sulla “educazione sessuale integrale” certifica come l’Italia sia uno degli ultimi Stati membri dell’Unione Europea in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria a scuola, accanto a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania: tutte nazioni simpatiche, sia ben chiaro, ma generalmente non prese a modello per quanto riguarda i sistemi scolastici. La comunità scientifica internazionale, insomma, riconosce unanimemente l’importanza di un’educazione strutturata all’affettività e alla sessualità per la prevenzione di abusi, violenze di genere, gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili. 

L’ANP ritiene, in conclusione, che la scuola possa svolgere un ruolo primario nel progresso dell’umanità ma, affinché questo avvenga, il decisore politico deve trovare coraggio e determinazione. A tale riguardo, ci permettiamo di ricordargli la celebre frase di Alcide De Gasperi: “Un politico pensa alle elezioni. Uno statista alle prossime generazioni”.