Il disegno di legge di bilancio 2026, trasmesso al Parlamento dopo la consueta “bollinatura” da parte della Ragioneria Generale dello Stato, presenta alcune misure apprezzabili in tema di pressione fiscale e di trattamento pensionistico del pubblico impiego, ma risulta molto deludente per la scuola. 

Sul fronte previdenziale, accogliamo positivamente la riduzione dei tempi di erogazione del TFS/TFR da dodici a nove mesi per chi maturerà i requisiti pensionistici dal 1° gennaio 2027. Si tratta di un passo avanti significativo sulla strada della totale eliminazione di una grave iniquità che penalizza i lavoratori pubblici rispetto a quelli privati. 

Anche la riduzione dell’aliquota IRPEF intermedia per i redditi fino a 50.000 euro costituisce un elemento positivo della manovra. In linea con le richieste della CIDA – collegate alle risultanze dell’Osservatorio sulle entrate fiscali – chiediamo tuttavia un ulteriore sforzo per applicarla fino a 60.000 euro, ricordando che il cosiddetto ceto medio produce quasi il 77% del gettito fiscale complessivo. 

In un simile contesto, è evidente quanto sia essenziale potenziare la lotta all’evasione fiscale che sottrae ogni anno decine di miliardi di euro alle casse dello Stato, penalizzando chi paga regolarmente le tasse. 

Riteniamo inoltre apprezzabili anche le misure concernenti alcune importanti materie quali l’inclusione, le politiche giovanili e quelle di sostegno alle famiglie. 

Purtroppo, per quanto riguarda la scuola,  l’intervento prospettato dal ddl appare molto deludente. Esso, infatti, è costituito da due soli articoli, il 105 e il 106, che anziché dare corpo a investimenti strutturali e lungimiranti prevedono ulteriori tagli di spesa. 

Più specificatamente, l’articolo 105 introduce modifiche dettate dalla comprensibile necessità di contenere la spesa per le supplenze ma che, a nostro avviso, rischiano di pregiudicare l’efficacia dell’azione educativa.  

Il testo proposto, infatti, impone che il dirigente scolastico, nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, sostituisca i docenti assenti fino a dieci giorni avvalendosi obbligatoriamente del personale compreso nell’organico dell’autonomia. L’unica deroga a tale obbligo – quindi con possibilità di rivolgersi a supplenti esterni – è legittimata da “motivate esigenze di natura didattica“.  

Così facendo, si trascura totalmente la rilevanza delle attività organizzative e se ne compromette seriamente l’efficacia. Ritenere che le attività scolastiche abbiano solo natura didattica è un grave errore, forse derivante da una obsoleta e semplicistica concezione del servizio scolastico. 

Al contrario, gli aspetti organizzativi sono fondamentali e necessitano di adeguate risorse umane senza le quali i dirigenti hanno meno leve per gestire al meglio le scuole. Del resto, la chiara formulazione del quinto comma dell’articolo 25 del d.lgs. 165/2001 non lascia spazio a interpretazioni difformi e fantasiose. 

Proponiamo, pertanto, di modificare il succitato periodo in “esigenze di natura organizzativa e didattica”. 

Non condividiamo, parimenti, quanto disposto dall’articolo 106 rispetto alla programmazione di medio periodo. Se non interverranno modifiche parlamentari, la determinazione dell’organico dell’autonomia avverrà nuovamente su base annuale, relegando la previsione pluriennale a una mera facoltà. La soppressione dell’organico triennale del personale ATA cancella un importante strumento di pianificazione che, seppur perfettibile, consentiva alle scuole di programmare le proprie attività con maggiore certezza.  

Simili scelte sembrano corrispondere a una visione del servizio scolastico di breve respiro che mal si concilia con le esigenze di stabilità e continuità proprie di qualsiasi progetto educativo di qualità.  

La previsione secondo cui il relativo decreto possa essere adottato “di norma” entro termini stabiliti rappresenta inoltre un ulteriore e non condivisibile elemento di incertezza, destinato ad accrescere le difficoltà organizzative fronteggiate dai dirigenti scolastici. E sia ben chiaro, ancora una volta, che tali difficoltà si tradurrebbero in decremento della qualità del servizio nei confronti dell’utenza.  

La scuola italiana ha bisogno di scelte coraggiose: il Parlamento ha adesso l’opportunità di compierle, destinando risorse adeguate al settore che più di ogni altro determina il futuro del Paese. 

Abbiamo già espresso nei nostri comunicati del 4 settembre e 8 ottobre alcune specifiche richieste. Ne ricordiamo qui le principali: 

  • incrementare la retribuzione di tutto il personale scolastico 
  • incrementare il fondo unico nazionale dei dirigenti scolastici 
  • istituire un vero middle management 
  • remunerare la formazione continua 
  • garantire l’accesso gratuito ai luoghi della cultura a tutto il personale scolastico 
  • garantire la fornitura di buoni pasto. 

Il sistema scolastico italiano non può più permettersi di navigare a vista, trascinato da una logica di puro contenimento della spesa. Servono visione, coraggio e investimenti appropriati.  

Ci appelliamo al Parlamento affinché intervenga con determinazione per dare alla scuola italiana le risorse e il riconoscimento che merita.