Un documento “unitario” – nel senso che unisce le forze sindacali del comparto in nome dell’unico principio che sembra ancora capace di ispirarle (e cioè la pregiudiziale opposizione a qualunque cambiamento dello status quo) – si rivolge a tutti gli operatori della scuola per invitarli a comportamenti di aperto boicottaggio e disapplicazione della legge 107.

Non intendiamo in questa sede addentrarci nella confutazione dei singoli punti: stiamo preparando una serie di seminari professionali aperti ai dirigenti scolastici, nei quali analizzeremo in dettaglio la legge e i suoi aspetti applicativi. In quel contesto, preciseremo anche il nostro punto di vista sulle diverse questioni tuttora aperte.

Quello che nel frattempo ci preme evidenziare è invece l’insostenibilità dell’assunto centrale del documento: siccome i suoi estensori ritengono la legge incostituzionale e dichiarano di volerla impugnare davanti al giudice costituzionale, assumono che sia lecito procedere intanto in via unilaterale alla sua disapplicazione ed a comportamenti apertamente in contrasto con essa.

Tutti dovrebbero sapere – e i dirigenti scolastici certamente lo sanno – che una legge promulgata è efficace e va applicata da tutti i cittadini della Repubblica fino a quando rimane in vigore. Siamo quindi pronti ad attendere le pronunce della Suprema Corte, senza nutrire le stesse granitiche certezze dei sindacati in questione. Se, e quando, tutta la legge o parte di essa dovessero non superarne il vaglio, ci atterremo alla nuova situazione che si venisse a creare. Fino a quel momento, è dovere di tutti – e nostro in primo luogo – “rispettarla e farla rispettare”, secondo il precetto costituzionale. Ed in tutte le sue parti.

Altra cosa che tutti dovrebbero sapere è che le competenze degli organi collegiali sono stabilite per legge e non possono essere derogate da fantasiose quanto estemporanee deliberazioni dei loro componenti. E dovrebbero sapere che una legge successiva modifica una legge precedente che verta nella stessa materia anche quando non ricorra alla esplicita abrogazione. E quindi a nulla vale citare clausole contrattuali ormai obsolete (vecchie di otto anni ed abrogate dalle norme imperative di legge sopravvenute) o gli articoli del regolamento dell’autonomia che – anche quando non sono stati esplicitamente sostituiti, come nel caso dell’articolo 3 – sono stati ugualmente incisi dalla legge 107.

Quanto all’invito fatto ai componenti degli organi collegiali perché si astengano dal deliberare sulle materie loro attribuite dalla legge (come i criteri per la premialità), chi lo formula dovrebbe sapere che – quando un soggetto si astiene dal fornire le indicazioni o i criteri che la legge gli richiede di formulare – l’organo esecutivo ne può prescindere per procedere a quanto di sua competenza.

Ce n’è abbastanza per dire, serenamente, che se c’è una cosa che alla scuola debba essere risparmiata in questa fase di avvio del nuovo anno scolastico sono le tensioni inutili e le forzature pseudo-giuridiche. Chi ha titolo a farlo, espleti pure le procedure previste dalla Costituzione per impugnare la legge ed attenda l’esito relativo. Fino a quel momento, essa è vigente e va attuata, in tutte le sue parti e da tutti.

Quale esempio si pensa di dare alle giovani generazioni che nella scuola vengono formate ed educate alla cittadinanza? che le leggi si applicano solo se assecondano le nostre opinioni o i nostri particolari interessi? Sorprende che persone le quali sostengono di appartenere al mondo della scuola e di rappresentarlo mostrino di ignorare la regola fondamentale che sorregge ogni patto sociale: e cioè l’obbligo di rispettare la legge e di attuarla pienamente anche quando non la si condivide.

Una notazione da ultimo. Il clima che si prepara con il documento “unitario” (e con le troppe dichiarazioni sopra le righe che lo hanno preceduto ed accompagnato) è un clima di scontro, che sfocerà, secondo un copione già visto, in scioperi, blocchi della didattica, occupazioni ed altro. Tutto ciò di cui la nostra scuola non ha alcun bisogno e che non giova a farla “buona”. Alla fine, il conto lo pagheranno i giovani: e fra loro soprattutto i più deboli e i meno provveduti sul piano sociale, quelli che più di ogni altro avrebbero bisogno di frequentare con continuità e serenità per recuperare lo svantaggio iniziale.

Chi sta determinando le condizioni per un simile scenario si assume una duplice responsabilità: quella delle tensioni e delle disfunzioni che si adopera per alimentare e quella di usurpare una rappresentanza dell’interesse generale che nessuno gli ha attribuito. Nella più benevola delle ipotesi, i firmatari sono legittimati a rappresentare gli interessi dei docenti: e non siamo neppure sicuri che questo sia del tutto vero. Ma certamente non rappresentano quelli dei genitori e degli studenti: men che meno quelli dell’intero Paese, che paga un prezzo elevato per un servizio di istruzione messo irresponsabilmente a rischio.

Piaccia o non piaccia, l’interesse generale ha altre sedi costituzionali di rappresentanza: in primo luogo quel Parlamento cui spetta legiferare e contro il quale viene implicitamente lanciato l’invito alla delegittimazione ed alla disobbedienza. Ancora un elemento su cui riflettere, soprattutto quando a rendersene attori sono coloro che dicono di rappresentare gli educatori ed i maestri dei nostri giovani.