Si è appena conclusa la preselezione del concorso per dirigenti scolastici e già si ripete un copione diventato purtroppo abituale: l’organizzazione di ricorsi di massa contro la mancata ammissione alle prove scritte. Appena poche settimane prima, erano stati promossi altri ricorsi avverso il mancato accoglimento delle domande di partecipazione.
E’ tempo di dirlo con chiarezza: si tratta dell’uso distorto di uno strumento che doveva essere di garanzia e che si sta trasformando in una impropria sede di appello contro ogni decisione sfavorevole. I tribunali amministrativi sono stati istituiti per correggere abusi o vizi di legittimità in casi puntuali, non per sostituirsi alle commissioni di esame, ammettendo in massa alle prove successive coloro che non hanno superato le precedenti. Nei pubblici concorsi non esiste il diritto soggettivo ad essere promossi, ma solo un legittimo interesse ad essere giudicati secondo regole fissate in anticipo ed uguali per tutti.
Ci sono, sui siti Internet, gruppi di pressione molto attivi, che dichiarano di aver già depositato duemila ricorsi e chiamano alla mobilitazione tutti gli altri. Eppure, a qualunque persona di buon senso dovrebbe essere evidente che, in una prova svolta e corretta con modalità oggettive, errori ed abusi possono contarsi – forse – a decine, ma non certo a migliaia.
Vogliamo qui dichiarare la nostra posizione, come associazione di dirigenti e docenti che ha a cuore la tutela della propria professione non meno che la qualità della scuola. I concorsi devono svolgersi e concludersi nelle aule scolastiche, non in quelle dei tribunali. Non giova a nessuno – né alla scuola né al prestigio di coloro che vi lavorano – essere eventualmente collocati nelle funzioni per vizi di forma e per decisione di un giudice che non ha, e non può avere, competenza per giudicare dell’idoneità sostanziale dei ricorrenti.
C’è una seconda questione che ci sta a cuore. Ricorsi seriali, come quelli annunciati, costituiscono il sogno degli studi legali, che ne ricavano consistenti utili: ma sono l’incubo della scuola, che già quest’anno boccheggia sotto il peso di oltre duemila sedi scoperte. Duemila reggenze significano quattromila scuole con un dirigente a mezzo servizio: vogliamo che, fra un ricorso e l’altro, si arrivi a seimila e poi ad ottomila? Vogliamo che un ministro dell’Economia colga l’occasione per constatare il decesso funzionale della professione ed eliminarla del tutto?
Sia dato a Cesare quel che è di Cesare, con quel che segue. Ai concorsi ed alle commissioni il compito di scegliere i più idonei a reggere le scuole di domani: ai giudici ed ai tribunali quello di correggere singoli casi di prevaricazioni o di irregolarità gravi, che possono solo essere residuali. Ma, per favore, non confondiamo i ruoli.
In questa vicenda, non siamo imparziali e non vogliamo esserlo: siamo dalla parte di chi le prove le ha superate nelle sedi competenti. Un appoggio coerente con la nostra storia e la nostra cultura, che contiamo di tradurre anche in un sostegno concreto in tutte le sedi, qualora ve ne fosse bisogno. Stiamo infatti prendendo gli opportuni accordi con i nostri consulenti legali per avviare, su tutto il territorio nazionale e nelle sedi giudiziarie appropriate, interventi ad opponendum in risposta ai ricorsi presentati da alcuni candidati che non hanno superato la prova preselettiva.
Daremo nel prossimo comunicato tutti i riferimenti per poter aderire all’iniziativa.