Penalizzazione sulla pensione anticipata

L’Inps con circolare 74/2015 del 10 aprile, conferma lo stop alla penalizzazione solo sui trattamenti avente decorrenza dal 1° gennaio 2015. Chi matura i requisiti entro il 31.12.2017 potrà accedere alla pensione senza penalità anche dopo alla predetta data e a quest’ultima l’interessato abbia un’età inferiore ai 62 anni.

Non subirà pertanto il taglio dell’1-2%, il trattamento pensionistico di lavoratori che lasciano il servizio con meno di 62 anni, avente decorrenza dal 1° gennaio 2015 e, limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva per la pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, ancorché la decorrenza della pensione si collochi dopo a tale ultima data.

Per le pensioni liquidate ante 2015 e cioè dallo 01.01.2012 al 31.12.2014, l’Inps precisa, invece, che restano soggette alla penalizzazione a vita.

Ciò crea una forte discriminazione tra gli usciti prima del 2015 e chi esce tra il 2015 e il 2017. Si evidenzia, quindi, una palese disparità di trattamento tra i pensionati. Una saggia interpretazione, poteva essere l’abrogazione della trattenuta anche per loro dall’1/1/2015, senza il rimborso di quanto detratto fino a tale data.

In questa sede non è stata introdotta la retroattività peraltro prevista con la stessa legge per le riliquidazioni delle pensioni dal primo gennaio 2012.

Le penalizzazioni saranno nuovamente applicate, salvo nuovi interventi, dal 2018, nei confronti di chi maturerà i requisiti della pensione anticipata da tale data e andranno in pensione con meno di 62 anni di età. Tornerà il taglio del 2% per ogni anno di anticipo rispetto a 60 anni e dell’1% per ogni anno ulteriore sino all’età di 62 anni.

Il tetto alle pensioni

La legge di stabilità ha previsto, che l’importo “complessivo del trattamento pensionistico liquidato con le regole vigenti dal 1° gennaio 2012 non può eccedere quello che sarebbe stato liquidato con l’applicazione delle regole di calcolo vigenti prima della riforma Fornero computando, ai fini della determinazione della misura del trattamento, l’anzianità contributiva necessaria per il conseguimento del diritto alla prestazione, integrata da quella eventualmente maturata fra la data di conseguimento del diritto e la data di decorrenza del primo periodo utile per la corresponsione della prestazione stessa”.

I destinatari sono i lavoratori che hanno almeno 18 anni di contribuzione al 31.12.1995 e che, quindi per effetto della Riforma Fornero, vedono l’assegno determinato con il sistema retributivo sino al 31 dicembre 2011 e contributivo sulle anzianità contributive maturate dal 1° gennaio 2012.

Per quanto riguarda il funzionamento del nuovo meccanismo, l’Inps stabilisce che, per determinare il tetto, bisogna fare un doppio conteggio: prima si deve determinare l’importo del trattamento che dovrebbe essere corrisposto con le regole attuali, retributivo sino al 2011 e contributivo dal 2012; poi bisogna verificare l’importo, per così dire “virtuale”, dell’assegno che sarebbe stato conseguito applicando interamente il criterio retributivo anche alle quote di anzianità maturate dopo il 2011.

L’importo minore tra il confronto dei due sistemi sarà quello messo in pagamento. In pratica se il valore dell’assegno determinato con le regole attuali sarà inferiore a quello determinato con le regole retributive, l’assegno non subirà alcuna penalità, in caso contrario dovrà essere messo in pagamento l’importo determinato con il secondo sistema di calcolo.

In pratica questa norma impatterà sui lavoratori con carriere lavorative rilevanti ma anche su quelli che avevano una carriera discreta che restavano in servizio proprio per migliorare l’assegno.

Si tratta soprattutto di magistrati, professori universitari e alte cariche dello stato che lasciano il servizio a 70 anni dopo oltre 40 anni di contributi versati, ma si tratta anche dei dirigenti delle scuole e dei docenti che abbiano maturato un cospicuo numero di anni col sistema retributivo prima del 31.12.2011. Nel retributivo, infatti, il coefficiente di rendimento si bloccava in corrispondenza del quarantesimo anno assicurativo e quindi tutto ciò che andava oltre, tranne l’eventuale beneficio di incrementare la pensione per effetto dell’aumento delle retribuzioni medie pensionabili, era ininfluente. Per effetto dell’incentivo introdotto dalla riforma Monti Fornero, che favoriva da una parte la permanenza in servizio, perché dall’altra contestualmente procurava anche un risparmio consistente di spesa pensionistica e quindi a fini dell’importo della pensione, questi lavoratori hanno potuto valorizzare anche i contributi versati dal 2012 in poi: la cosiddetta quota C.

Il doppio calcolo si applica non solo ai trattamenti pensionistici che hanno decorrenza successiva al 2014, ma anche a quelli già liquidati in precedenza, con effetto dal 2015. I pensionati che sono usciti dal mondo del lavoro nel periodo 01.01.2012 al 31.12.2014 il cui trattamento pensionistico ha visto l’applicazione delle regole della riforma Fornero, dal 1° gennaio 2015 si vedranno ridurre l’importo dell’assegno. Di là degli errori che sicuramente accadranno tenuto conto della complessità dei calcoli e della gestione delle pratiche medesime, tale nuova norma pone problemi d’incostituzionalità perché va a intaccare i c.d. “diritti acquisiti” fino ad ora sempre rispettati nell’ordinamento Italiano. Saranno i giudici a stabilire se questa novella sia da considerare o no Costituzionale.

Aprile 2015.

* Giuliano Coan

Consulente in diritto previdenziale
e docente in materia

Autore di studi e pubblicazioni